-MONGOL INVASION!!!-
“Zipangu è una isola in levante, ch'è ne l'alto mare per 1.500 miglia”
[
-Una mappa del 1942: Cipango è raffigurata come descritta nel "Milione"-
Così descrisse il Giappone un viaggiatore veneziano nel suo resoconto di viaggio che dettò all'amico Rustichello nelle carceri di Genova dopo una lunga detenzione in seguito alla sconfitta della flotta veneziana da parte di quella genovese.
Il libro fu intitolato “Il Milione” e il nome del suo autore, il primo uomo d'occidente a descrivere le lontane terre dell'estremo oriente, era destinato adentrare nella storia e nella leggenda: Marco Polo.
In realtà,il giovane Polo durante la sua lunga permanenza assieme al padre
e allo zio presso la corte del potente Qublai Khan, non ebbe mai modo di visi-
tare di persona l'arcipelago Giapponese, e la descrizione (alquanto fiabesca)
che ne fece come di un paese “Abitato da gente di pelle chiara, di bell'aspetto,
e ricco d'oro in abbondanza” fu basata sopratutto su racconti,dicerie, leggende
la cui veridicità è alquanto discutibile. Più affidabile è invece il resoconto che
Marco fece dei piani della dinastia Yuan (la dinastia cinese sotto controllo
mongolo) per una seconda, massiccia invasione dell'arcipelago nipponico dopo
il disastroso esito della prima che aveva scosso profondamente l'orgoglio e la
pazienza di Qublai Khan, nipote di quel Gengis che aveva portato le orde mongole
alla vittoria sull'immenso impero del Catai (Cina).
La scarsa fondatezza delle dicerie che il giovane Polo ascoltò in quegli anni
aveva in realtà una ragione oggettiva e profonda: per gli stessi cinesi,mongoli
e le altre etnie del continente asiatico quel piccolo arcipelago di isole rimanevano
in gran parte un mistero.
Dall'inizio del periodo Heian,difatti, con l'indebolirsi della dinastia Tang
i rapporti ufficiali tra la corte Giapponese e il continente si erano fatti sempre
più radi, dopo il vero e proprio “tsunami” di influenza sinica sui costumi,
la politica e la tecnologia Giapponese dei periodi precedenti.
Il Giappone era rimasto in uno stato di quasi totale isolamento, e gli unici
Giapponesi che sfidavano il burrascoso tratto di mare che li separava dal continente
erano in gran parte mercanti, monaci, e i temuti pirati Giapponesi
conosciuti col nome di “Wako” che furono la spina nel fianco delle tratte
commerciali cinesi, coreane e del regno delle Ryuukyuu (n.a attuale Okinawa).
-Una nave di pirati Wako: spina nel fianco dei commerci nelle acque dell'estremo oriente-
Mentre il Giappone era scosso dalle numerose lotte di potere di cui abbiamo
parlato in precedenza, il grande impero cinese aveva subito durissimi colpi
sotto l'assalto delle forze mongole guidate da Subotai,altresì noto come Gengis
Khan. Suo nipote, Qublai, affascinato dalla millenaria cultura cinese aveva
completato e rafforzato il potere mongolo nel territorio della Cina, fondando
una dinastia imperiale sotto controllo mongolo chiamata “Dinastia Yuan”.
Seppur recluso nello sfarzoso palazzo della capitale Khambaliq (attuale Pechino),
l'anima guerriera di Qublai e della sua gente non era stata affatto
domata, così come la loro sete di conquista. In effetti, i mongoli erano conquistatori nati...
ma pessimi amministratori: tendevano difatti a delegare le
questioni amministrative, economiche e burocratiche ad altre etnie,sopratutto
quella cinese. A differenza delle dinastie cinesi,tuttavia, la politica di Qublai
era apertamente cosmopolita: tollerava ogni tipo di religione o cultura, purchè
esse non divenissero una minaccia al suo potere. Fu proprio grazie a questo
atteggiamento così aperto al diverso che i Polo divennero membri bene accetti
della corte del Khan: non solo erano difatti abili (da bravi mercanti veneziani)
nelle questioni economiche e d'amministrazione, ma erano anche il tramite
del Khan col mondo d'occidente, ed in particolare col papato, il quale vedeva
con speranza la possibilità di una alleanza con i mongoli in chiave anti-turca e
egiziana. Oltre a ciò, appartenevano anche a un'etnia diversa da quella cinese
Han, verso i quali il Khan,pur amandone il retaggio culturale, iniziava a nutrire
sospetti sempre più forti.
-Una rappresentazione europea dell'incontro fra i Polo e il Grande Khan. Sotto, Qublai ritratto in stile cinese-
-I mongoli erano conosciuti e temuti da oriente ad occidente: nel 1241 l'orda mongola aveva fatto tremare
l'Europa sconfiggendo a Legnica una coalizione di cavalieri Teutoni, Templari, Ospitalieri e dei regni polacchi-
-LA PRIMA INVASIONE-
Molto prima che il giovane Marco giungesse nel lontano Catai, nel 1260 Qublai
era appena stato incoronato “Grande Khan dei Mongoli” (nonostante la sua
nomina non incontrasse grande favore presso i mongoli dell'ovest) e stabilì la
propria capitale a Dadu (chiamata in seguito Kambaliq) nel 1264. Un anno
prima della salita al trono di Qublai, le forze mongole avevano piegato il regno
della dinastia Goryeo, facendo della Corea un vassallo dell'impero mongolico.
Sul continente la potenza dell'esercito mongolo era senza pari: grazie a una
ferrea disciplina, a una vita passata a cavallo e a una brutale ferocia “L'orda
d'oro” aveva ridotto al silenzio città su città e nazione su nazione. Solo la
sottomissione al volere del Khan poteva salvare il nemico da una terribile fine.
Consapevole di ciò, due anni dopo il suo insediamento Qublai iniziò a rivolgere
la propria attenzione allo sperduto arcipelago di “Zhebenguo” (Giappone) che
era rimasto non toccato da invasioni straniere sin dagli albori della propria storia.
Il Khan era tuttavia deciso a fare anche del Giappone uno stato vassallo
dell'impero mongolo, così nel 1266, Kublai inviò degli emissari in Giappone
recanti questo messaggio:
“Benedetto dal mandato del cielo,il Grande Imperatore Mongolo manda questa lettera al re del Giappone.
I sovrani di piccoli paesi, avendo da sempre condiviso i loro confini, si sono da sempre preoccupati di comunicare fra loro ed instaurare rapporti di amicizia. Sin da quando i miei antenati hanno governato sotto comando del cielo,molte nazioni lontane hanno contestato il nostro potere e offeso la nostra virtù. Goryeo (n.a la dinastia di Corea) mi ha
reso grazie per avergli concesso una tregua e per avergli restituito le loro terre
e le loro genti quando sono asceso al trono. La nostra relazione è feudale
come quella tra un padre e un figlio. (n.a questo concetto di rapporto padre-figlio deriva dalla concezione confuciana...ed era alla base anche dei rapporti
politici nell'asia dell'epoca dove il “padre” cinese, si “prendeva cura” dei
“figli” suoi vassalli i quali erano tenuti a mandargli tributi e a riconoscerne
l'autorità) penso voi già siate a conoscenza di questo fatto. Goryeo è il mio
tributario ad est. Il Giappone era alleato con Goryeo (n.a probabilmente si
riferisce all'aiuto militare che i regni giapponesi del periodo Kofun dettero
al regno coreano di Paekche nel quinto-sesto secolo) e a volte anche con la
Cina sin dalla fondazione della vostra nazione; tuttavia, il Giappone non ha
mai inviato ambasciatori sin dalla mia ascesa al trono. Perciò ho inviato
una missione recante una lettera che esprime i miei desideri. Entrare in rapporti
amichevoli l'uno con l'altro sin da ora. Riteniamo che tutti i paesi
appartengano a un'unica grande famiglia. Come possiamo essere nel giusto se
non comprendiamo ciò?. Nessuno desidererebbe ricorrere alle armi”.
Leggendo tale messaggio appare chiaramente come il Khan avesse una visione
del sistema politico Giapponese poco chiara: non solo non era mai esistito
nessun “Re del Giappone”, ma l'unica figura che in quel periodo avrebbe potuto
corrispondergli, l'Imperatore, era stato esautorato da parecchio dall'esercizio
attivo del potere da parte degli Shogun. E in quel momento, lo stesso Shogun
era solamente una figura di facciata nelle mani dello Shikken Hojo Tokimune
che, con la sua ristretta cerchia di consiglieri (molti dei quali suoi parenti)
esercitava il potere effettivo in Giappone.
Il primo tentativo di indurre “Zhebenguo” a divenire un vassallo dell'impero
mongolo e ad inviare tributi sotto minaccia di attacco militare non ebbe riscontro.
I messaggeri tornarono difatti a mani vuote.
Il Khan inviò quindi un secondo gruppo di messaggeri nel 1267 senza tuttavia
ottenere successo.
I messaggi, inizialmente consegnati nelle mani del “Chinzei Bugyou”, ovvero
il “Commissariato di difesa per l'Ovest” stanziato nel Kyushuu, furono ritrasmessi da
questo organo allo Shikken Tokimune e all'Imperatore a Kyoto.
Tokimune decise in entrambi i casi di ignorare i messaggi, e lo stesso fece con
ben altri quattro successivi gruppi di ambasciatori del Khan dal 1269 al 1272,
nonostante l'Imperatore avesse consigliato una resa, spaventato dall'idea di una
invasione straniera del Giappone.
Tokimune non aveva alcuna intenzione di far sottomettere il “Paese dei Kami”
alla volontà del Khan straniero, e dette ordine ai Signori del Kyushuu e al
Chinzei Bugyou di approntare le difese delle coste della regione, in attesa
dell'imminente attacco Mongolo.
Qubilai, dopo che le sue prime due ambascerie erano state così sfrontatamente
ignorate, era deciso a scendere in guerra contro quel piccolo arcipelago che
osava sfidare così apertamente il suo volere. Ma i mongoli, pur quasi invincibili
guerrieri sulla terraferma, erano decisamente poco avvezzi all'ingegneria navale
e quindi organizzare uno sbarco sulle coste nipponiche apparve come un'impresa troppo ardua.
Le cose cambiarono quando, grazie al matrimonio
della figlia del Khan con il figlio del re Coreano Chungnyeol garantì all'impero mongolo
la capacità di allestire una grande flotta navale grazie all'abilità degli
armatori Coreani.
Pare che fu lo stesso sovrano Coreano ad insistere con il Khan per lanciare
un assalto contro il Giappone; forse per ingraziarsi i favori dell'imperatore
mongolo, o forse per l'animosità dei coreani nei confronti delle scorrerie dei
pirati nipponici sulle proprie rotte commerciali.
Mentre Hojo Tokimune continuava a rifiutare di rispondere ai suoi messaggeri,
il Khan approntò una impressionante forza da sbarco: alcune fonti indicano
che la flotta di Qubilai era composta da quasi 1.200 navi di varie dimensioni
su cui si imbarcarono quasi 15.000 soldati mongoli e cinesi assistiti da 8.000
guerrieri coreani. (n.a Tali cifre tuttavia, come spesso accadeva nell'antichità,
possono essere state esagerate).
Nel 1274 la flotta mongola salpò in direzione del Giappone. Le isole di Tsushima e
Iki furono le prime a sperimentare la furia delle truppe del Khan le
quali, pare, ne massacrarono la popolazione tagliando le mani delle donne e
appendendole alle loro navi come macabro monito.
La forza mongolo-sinica-coreana toccò finalmente terra il 19 Novembre nella
baia di Hakata, vicino alla moderna città di Fukuoka, e a poca distanza da
Dazaifu, capitale amministrativa del Kyushuu.
La città che dava il nome alla baia cadde rapidamente in mano alle forze
mongole, che furono tuttavia presto ingaggiate dai Samurai inviati in difesa
dagli Hojo. Per i Giapponesi, abituati sin dagli albori della civiltà nipponica a
combattere guerre intestine, fu come scontrarsi con un altro mondo.
I Samurai, abituati a un tipo di guerra basato sul valore individuale, sui duelli
a colpi di frecce a dorso di cavallo e a combattere gridando il proprio nome e
le gesta dei propri antenati in cerca di un degno avversario, si trovarono in
grande difficoltà dinanzi alle forze straniere, che lottavano invece come una
forza compatta e disciplinata, incurante della ricerca di gloria personale e dei
codici rituali. Le forze mongole impiegavano precisi e massicci tiri d' arcieria
che decimavano le fila giapponesi, la fanteria bloccava i Samurai a cavallo
adottando formazioni simili alla falange, e come alcuni scavi recenti hanno
dimostrato, i mongoli utilizzavano addirittura rudimentali granate di polvere
nera e proto-razzi (una sorta di versione militare dei fuochi artificiali) il cui
utilizzo avevano appreso dai cinesi, dopo aver provato tali armi sulla propria
pelle durante l'invasione dell'impero sinico.
-La battaglia della Baia di Hakata fu un vero e proprio "scontro di civiltà" tra due concezioni molto diverse della guerra: qui i Samurai Suenaga affrontano le forze mongole sotto una pioggia di frecce e granate rudimentali-
Tuttavia, anche i Mongoli si ritrovarono a combattere in un contesto a loro
poco familiare: con alle spalle la distesa del mare invece delle grandi e sconfinate
pianure su cui cavalcavano e combattevano con impareggiabile
maestria, e l'accanita resistenza dei Samurai inflisse loro grandi perdite.
Alla fine di una giornata di feroci combattimenti i Samurai si ritirarono, ma le
forze Mongole non li inseguirono, forse temendo imboscate in un territorio a
loro ignoto, l'arrivo di rinforzi nemici, e forse anche a causa delle numerose
perdite che i Giapponesi avevano loro inflitto. I mongoli e i loro alleati si ritirarono
a bordo delle navi, in attesa di riprendere l'attacco l'indomani.
Quella notte,tuttavia, accadde l'impensabile. Una terribile tempesta scoppiò
in mare, e la forza delle onde e dei venti fu tale che un terzo della grande flotta
mongola colò a picco, infliggendo un durissimo colpo alle forze del Khan.
La maggior parte delle restanti navi decise di tornare in Corea, mentre quelle
che rimasero sulla costa del Kyushuu furono abbordate e distrutte dalle forze
Giapponesi rientrate in zona.
-Samurai osservano navi della flotta mongola dopo la terribile tempesta: alcuni studiosi moderni hanno
messo in dubbio che anche la prima flotta del Khan sia stata affondata da una tempesta come accadde
a quella del 1281, tuttavia le forze mongole sbarcarono in una zona nota ai giapponesi per le forti
correnti e le frequenti tempeste-
La prima invasione Mongola era stata sventata, e molti in Giappone videro
quella provvidenziale tempesta come un intervento dei Kami del paese in difesa contro l'invasore straniero.
Quella tempesta (e quella che affondò pure la seconda flotta mongola nel 1281) diverrà famosa col termine, oggi stra-abusato, di “神風 KamiKaze” ovvero “vento dei Kami”.
In realtà, il mar del Giappone era da sempre soggetto a forti tempeste e tifoni
che avevano da sempre reso la navigazione tra l'arcipelago e il continente
difficoltosa e piena di pericoli (come molti monaci Giapponesi avevano già
sperimentato durante i loro viaggi verso la Cina); tuttavia l'idea che tale evento
avesse natura soprannaturale dovette sembrare una spiegazione accettabile
non solo per i Giapponesi, ma anche per il generale coreano Kim Bang-Gyeong
che pagò al re di Corea e alla sua consorte mongola un pesante tributo di 200
giovani schiavi per il suo fallimento.
E terribile come la tempesta dovette essere anche la furia del Khan alla notizia
della disfatta del suo possente esercito. La sua ambizione di conquistare Zhebenguo
tuttavia, non ne fu affatto smorzata: e ben doveva saperlo anche
Hojo Tokimune, che si mise subito all'opera per approntare nuove difese contro
una probabile seconda invasione.
I Mongoli sarebbero tornati: più numerosi, più determinati, e più feroci che mai.
Ma anche i Samurai ora sapevano che tipo di nemico sarebbe sbarcato sulle
loro coste...e non si sarebbero fatti trovare impreparati.
-KAMIKAZE: Una piccola parentesi-
Ora che ho riportato l'origine di questo termine, oggi così largamente (persino
eccessivamente) utilizzato, mi è parso d'uopo aprire una piccola parentesi a
riguardo.
Come abbiamo visto, il termine “Kami Kaze” si originò in riferimento alle
tempeste che furono determinanti nel fallimento delle due invasioni Mongole
del Giappone.
Non si sa chi abbia coniato originariamente questo termine, ma alcuni ipotizzano che sia nato nel periodo in cui il Buddhismo Zen iniziava a diffondersi largamente presso la casta samuraica, e che forse alcuni monaci
abbiano addotto il generarsi di questa tempesta ai loro rituali, che avrebbero
così “salvato” il Giappone dalla minaccia straniera, e del resto all'epoca della
prima invasione lo stesso Hojo Tokimune era divenuto un adepto del maestro
Zen Bukko. (un rapporto che echeggia in parte quello del cristianesimo con Costantino il Grande.)
Nella mitologia popolare fu invece il dio del tuono Raijin a inviare la tempesta che affondò la flotta mongola.
-Raijin: divinità del tuono e "guardiano" del Buddhismo-
Qualunque sia stata l'origine di questo termine, era chiaro che rispecchiava una
certezza che si sarebbe profondamente radicata nella coscienza Giapponese
fino al secondo conflitto mondiale: quello che il Giappone, come paese divino
protetto dai Kami, non sarebbe mai caduto dinanzi a una forza straniera.
Nell'immaginario mondiale, questo termine si è ormai decisamente allontanato
dalla sua origine nel Giappone del 1.200.
I “Kamikaze” per antonomasia sono divenuti i piloti suicidi della Guerra del
Pacifico, e persino le azioni dei terroristi islamici, così lontani dal contesto
Giapponese, sono finite con l'essere inglobate sotto questo termine.
In realtà persino l'associazione di questo termine con i piloti del secondo conflitto mondiale andrebbe precisata.
Pare,infatti, che il termine “KamiKaze” apparve (letto però secondo la lettura
“on”, ovvero alla cinese: “shinpu”) dinanzi al nome di una unità operativa della
Marina Imperiale Giapponese: unità che erano definite col termine di
“特別攻撃隊TokubetsuKougekiTai” (abbrev. In “Tokkoutai”) ovvero “Squadre
d'attacco speciale” e che inizialmente indicavano non piloti d'aereo, ma soldati
addestrati nel guidare minisommergibili simili ai “Maiali” utilizzati dalla Regia
Marina italiana, contro le navi alla fonda nel porto di Pearl Harbour.
A differenza dei maiali,tuttavia, questi piccoli siluri erano concepiti per ospitare
un pilota al loro interno, e fu proprio dinanzi al nome di una di queste unità
che troviamo i due ideogrammi “神風”: il nome di questa unità divenne quindi
“神風特別攻撃隊: ShunpuTokubetsuKougekiTai”.
-Una silurante dell'unità "ShunpuTokubetsuKougekiTai"-
Tra la popolazione giapponese, tuttavia, le unità “Tokkoutai” iniziarono ad
essere definite informalmente col termine “KamiKaze”, forse in riferimento
proprio al mito dei grandi tifoni del 1.200.
La dittatura militare giapponese lasciò che questo termine si diffondesse presso
la popolazione: questo riferimento a un grande mito della storia nipponica
ben si intonava con la martellante opera di propaganda militarista istituita sin
dagli anni '20, che si ispirava (spesso estremizzando e modificando a proprio
piacimento) ai miti della storia nazionale per ispirare l'esercito e la popolazione
all'”estremo sacrificio” in difesa della patria e dell'Imperatore.
Questo termine,divenuto ormai sinonimo di “Squadra d'attacco speciale” presso
la popolazione, finì con l'essere applicato anche alle “Tokkoutai” di piloti
suicidi, spesso composti da giovani poco più che ventenni indottrinati fino al
midollo nella mitologia nazionalista del periodo.
Grazie alla sua diffusione presso il “popolino” giapponese, ben presto anche le
forze americane finirono con l'utilizzare il termine “KamiKaze” per definire
quegli aerei che inflissero (almeno nelle prime parti del conflitto, grazie all'effetto psicologico e di sorpresa) duri danni alla loro flotta.
-Liceali salutano la partenza di un aereo "Tokkoutai". Il governo militarista pescò a piene mani dalla storia e dall'immaginario nazionale per spronare il morale del popolo durante lo sforzo bellico-
Dopo la fine del secondo conflitto mondiale, come ben sappiamo, questo termine passò poi nell'immaginario comune per identificare quei piloti e, per associazione, qualunque individuo che si faccia esplodere volontariamente
per colpire un nemico.
Edited by ShinXari - 28/5/2011, 09:15