come da titolo nominate il vostro impero " di ttt le età " preferito e descrivetelo nel suo massimo splendore.....
dal mio punto di vista io ho amato sempre i mongoli " secondo me dei selvaggi spietati" le tribu' , le citta, i nomi, la cultura I LOVE MONGOLI xDxD
DESCRIZIONE
Intorno all'anno Mille, le steppe dell'Asia centrale erano abitate da tribù nomadi o seminomadi di pastori. Essi vivevano al riparo di tende (Yurt), si spostavano a cavallo, vestivano con pelli di animali e si nutrivano di carne, di latticini e di bevande fermentate. Si spostavano continuamente in cerca di nuovi pascoli e per compiere razzie.
All'inizio del XIII secolo, si affacciò sulla scena mondiale la figura di Genghis Khan, il cui appellativo significava "sovrano oceanico, universale". Egli riunì sotto il proprio comando tutte le genti mongole e le guidò verso ovest alla conquista del mondo. Le orde mongole conquistarono la Cina settentrionale (1212) poi si riversarono verso la Russia e la Persia: nel 1223 i Mongoli sconfissero i principi russi sul fiume Kalba.
Conquistate la Persia e la Corea, i Mongoli travolsero la Russia, espugnando Mosca (1238) e Kiev (1240); un anno dopo, la loro furia si rivolse sull'Europa. Distrutta Cracovia, e massacrati i suoi abitanti (1241) i Mongoli invasero la Slesia, ma qui furono respinti dalla strenua resistenza opposta da un esercito formato da cavalieri Teutonici, Templari e Polacchi (Liegnitz).
Ovunque i Mongoli seminarono morte e distruzione. Spietati massacratori, devastavano, uccidevano, saccheggiavano, stupravano. La loro arma più efficace fu il terrore che erano capaci di suscitare con il loro terribile aspetto, con la fama delle loro azioni atroci, con il loro insopportabile fetore. Ma le loro vittorie erano soprattutto dovute alla loro abilità di guerrieri e alla loro originale arte bellica. Formidabili arcieri a cavallo, attaccavano improvvisamente e poi velocemente scomparivano. Racconta Marco Polo che la loro tecnica principale consisteva nel ritirarsi e farsi inseguire, per poi voltarsi inaspettatamente per attaccare il nemico esausto; i loro cavalli erano addestrati per cambiare rapidamente direzione, voltandosi "qua e là come farebbe un cane".
La spinta espansionistica non fu mai arrestata, e i Mongoli dominarono l'impero più grande della storia, che si estendeva dai Balcani al Mar Giallo, dal Golfo Persico alla Siberia.
Per circa un secolo il dominio dei Mongoli conferì unità e stabilità al continente asiatico; placata la furia distruttrice, iniziò il periodo della cosiddetta pace mongolica. Si svilupparono i commerci tra Occidente e Oriente. In prima fila fu Venezia. Un mercante veneziano, Marco Polo, soggiornò per anni in Cina, descrivendone con dovizia di particolari le usanze nella sua celebre opera, il Milione.
Inizialmente sciamanisti, cioè dediti a pratiche di stregoneria e magia, i Mongoli si convertirono alla religione islamica e buddhista, malgrado dei missionari europei tentarono di convertirli al cristianesimo.
La pace mongolica si dimostrò effimera, allorché comparve sulla scena un nuovo capo carismatico, Tamerlano, che voleva emulare le gesta di Genghis Khan. Tra il 1364 e il 1370 egli conquistò l'intera Transoxania; invase poi Iran, Mesopotamia, Armenia e Georgia e compì ripetute incursioni in Russia e Lituania. Nel 1389-95 attaccò il khanato dell'Orda d'Oro, nel 1398 invase l'India, occupando Delhi e massacrandone gli abitanti. Nel 1401 sottrasse la Siria ai Mamelucchi, saccheggiò Damasco e devastò Baghdad. L'anno successivo piegò il sultano ottomano Bayazid I. Morì nel 1405 mentre pianificava l'invasione della Cina. I suoi discendenti, i Timuridi, governarono l'Iran e la Transoxania fino agli inizi del XVI secolo; uno di essi, Babur, nel 1526 fondò la potente dinastia indiana dei Moghul destinata a regnare fino al 1858.
La leggenda
Nell'immaginario dell'Europa cristiana i Mongoli presero i connotati diabolici di Gog e Magog, le nazioni dell'Anticristo. Magog fu citato per la prima volta in Genesi, 10, 2 tra i figli di Iafet. Ricompare poi come toponimo, accoppiato a Gog, in Ezechiele, 38-39, dove i due nomi sono impiegati per designare i popoli selvaggi del Settentrione chiamati a eseguire la giustizia divina ma destinati infine ad essere sconfitti e annientati. In Apocalisse, 20, 7-10 il binomio indica le tribù devastatrici sedotte da Satana che allo scadere del millennio dilagheranno furiose dai quattro canti della terra stringendo d'assedio la città santa e l'accampamento dei santi.
D'altra parte, i popoli maledetti delle Scritture presentano tratti che si riscontrano perfettamente nei barbari delle steppe: i nemici di Israele vengono dagli estremi quadranti settentrionali e procedono a cavallo, armati di archi e frecce. Scrive Ezechiele: "et venies de loco tuo a lateribus aquilonis tu et populi multi tecum ascensores equorum universi coetus magnus et exercitus vehemens" (38, 15); "et percutiam arcum tuum in manu sinistra tua et sagittas tuas de manu dextera tua deiciam" (39, 3).
I Mongoli furono descritti dagli autori delle cronache dell'epoca come una stirpe maledetta di fetidi demoni antropofagi vomitati dalle viscere infernali. Il loro numero è infinito. Per Giovanni le orde di Gog e Magog sono numerose "sicut harena maris" (Apocalisse, 20, 7); nei Chronica majora di Matteo di Parigi, a proposito dell'orda mongola, si parla di "exercitus infinitus". Gli autori occidentali insistono sulla crudeltà animalesca dei Mongoli. Scrive Ivo di Narbona che i Mongoli "si cibavano di carne umana, come se fosse un piatto squisito e consideravano una vera e propria leccornia i seni delle ragazze". Per Matteo di Parigi si trattava di "esseri umani che assomigliano a bestie e si devono chiamare piuttosto mostri che uomini, che hanno sete di sangue e ne bevono; che cercano e divorano la carne dei cani e persino la carne umana". Poiché paiono esseri terrificanti, gli Europei li chiamano spesso Tartari, che evoca scenari infernali e demoniaci perché il Tartaro è il luogo più profondo dell'Inferno. "Se i Tartari verranno, noi li ricacceremo in quel Tartaro dal quale sono venuti", affermava un sovrano francese; gli fa eco Matteo di Parigi: "exeuntes ad instar daemonum solutorum a Tartaro, ut bene Tartari, quasi tartarei, nuncupentur".